Eran trecento, eran giovani e forti

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MONDO REALE: “eran trecento, eran giovani e forti. E sono morti!”: è il ritornello di una celebre poesia scritta da Luigi Mercantini, “La spigolatrice di Sapri” dove una lavoratrice dei campi descrive dal proprio punto di vista il massacro di trecento uomini morti per la patria – spedizione di Sapri, 1857.

Cosa succede? Ci siamo dati improvvisamente alla storia? La materia ci piace, ma non è questa la sede per discuterne; è solo che abbiamo superato i trecento articoli da quando è in piedi la nostra piattaforma web e ci è sembrato impossibile essere arrivati fino a qua; avevamo paura di cadere miseramente come quei trecento della battaglia raccontata nella poesia, visti i detrattori in circolazione e i presunti amici sempre a dirci “guardate che vi chiudono il blog, io lo dico per il vostro bene”.

Il ritornello di Mercantini viene citato molte volte a sproposito senza nemmeno conoscere da dove arriva, per cui ne abbiamo condiviso una breve spiegazione dato che, sapendo l’evoluzione delle storie su cui lavoriamo, l’immagine della morte apparsa all’improvviso sotto gli occhi di una persona innocente, ci è sembrata parecchio evocativa.

MONDO POSITIVO: HIV di Bugliano deve trovare il modo per raccontare ai suoi umani una verità scomoda. Sa di dare loro un dispiacere ma svelare certi segreti inconfessabili è l’unica possibilità di sconfiggere il serial killer.


Virus, 2023: Eran trecento

Ci sono dei brevi momenti in cui rimpiango di non aver accettato una vita normale e tranquilla da virus: entra in una cellula, usala per replicarti, uccidi l’organismo ospite non prima di averlo addestrato a farti moltiplicare in altri esseri. Niente coscienza, né conflitti o sentimenti. E niente scocciature.

Adesso non so cosa darei per essere uno dei miei colleghi, che però hanno deciso di espellermi dal proprio mondo: a ognuno la propria scelta, non si torna indietro e si risponde delle proprie azioni! “Oh! Ci sei? HIV, mi ascolti o no? Cazzo!!!” Provvede la voce del mio umano a distogliermi dai brutti pensieri. Assumersi le responsabilità fino alla fine, e ora devo ascoltare Hunter, nel suo primo esercizio di lettura ad alta voce.

“Io volevo fare l’attore e adesso mi tocca recitare una vecchia poesia di un secolo e mezzo fa! Che due palle!”

Lo esorto a non lamentarsi; avesse la minima idea di cosa sto passando io! “Dai Hunter”, provo a incoraggiarlo; “come fa la poesia? Eran trecento. E poi?”

“Eran trecento! Eran giovani e forti!”

Lo prendo in giro: più che una poesia mi sembra stia recitando una partita di pallone. Leggo il testo completo, ormai riesco a capire alla perfezione anche la lingua scritta e sento su di me una profonda angoscia. Avrei voluto recitarla io, perché conosco la sensazione di impotenza provata di fronte alla guerra.

“Eran trecento, eran giovani e forti. E sono morti!”

Già meglio. A forza di dai e dai, Hunter sta piano piano entrando nel personaggio: “non sono certo di essere un bravo coach, io sono solo il tuo virus e devi accontentarti di me! Quando leggi, fai sentire il peso di quel sono morti. Tu devi far la parte di una persona che ha visto tutto. E non ha potuto far niente per cambiare le cose. Mi spiego, ragazzo?”

“Odio le poesie per la patria, non ci riuscirò mai! HIV, trovami qualcos’altro da leggere! Ci sono tanti libri qui al Campus. Magari qualcosa sull’amore, sulla bellezza. A me la guerra fa schifo!”

Sapessi a me. Eppure la prima volta in cui ho interagito con un umano nella sua lingua, era di guerra che si stava parlando e io ne ero affascinato almeno fino a quando ho realizzato cosa realmente significasse.


Virus, 1986: capirsi a parole

“Questo virus ha delle potenzialità”, disse l’uomo più giovane a quello più anziano. “Sa cosa vuol dire, professore? Si diffonde coi rapporti sessuali, porta alla morte, è ottimo per il progetto.”

Stringendo fra le dita la provetta in cui ero rinchiuso, il più anziano si mise a urlare: “Lei è pazzo! Completamente pazzo! Non si azzardi più a nominare la nostra ricerca, nemmeno con me. Ha capito?”

L’allievo ignorò l’ammonizione e sorrise beffardo: “cosa vuole che succeda prof, qui siamo solo io e lei.” Poi gli tolse la provetta dalle mani e la agitò con forza. “Per far uscire una parola da qui, occorre che l’HIV inizi a parlare la nostra lingua e si faccia sentire da altra gente. Cosa che dubito!”

Avrei voluto già dire qualcosa allora, ma nel lungo periodo da ostaggio del laboratorio ero diventato un buon osservatore e, soprattutto, ascoltatore: voler sconfiggere l’uomo o diventarne alleato significava acquisire le capacità che a lui mancavano. E quella di parlare solo quando opportuno, era la più importante. L’università stava cercando una soluzione per vincere definitivamente qualsiasi guerra; forse gli umani davvero potevano diventare più pericolosi di noi virus?

Più volte li avevo sentiti parlare di pace e mi interessava capire il motivo per cui volessero costruire armi sempre più forti anziché parlarsi e darsi la mano. E io cosa c’entravo? Contribuire alla pace sarebbe stato motivo di orgoglio, ma era da capire come! Forse bastava uccidere i cattivi? E chi erano?

“Il virus che stiamo studiando proviene da una leggenda del rock”, parlò il docente, con orgoglio. “La notizia non è ufficiale tra i fan del cantante in oggetto ma appena è arrivato il suo sangue nel laboratorio, io mi sono mosso in anticipo per conservarlo quindi davvero, da questo HIV mi aspetto di tutto. Sentirlo parlare e anche cantare!”

“Dobbiamo procedere! Non c’è tempo da perdere”, tagliò corto il giovane; prese dal tavolo un barattolo in vetro e lo riempì di un liquido scuro. Ben presto l’umano immerse nel contenitore la provetta più piccola, quella con me dentro.

“Che cazzo fa”, pensai mentre il recipiente veniva chiuso. D’improvviso sentii un calore insopportabile e il liquido intorno alla mia provetta iniziò a bruciare. “Calma, HIV”, pensai; “se hanno deciso di farti crepare, tanto vale non morire incazzato.”

“Ci siamo quasi”, annunciò il ragazzo; “prof, si tolga la tuta e la maschera di protezione, ecco, si metta nudo.”

“Come si permette”, gridò l’altro osservando il contenitore da cui si vedeva uscire una fiamma. “Cosa sta facendo? Se perdiamo questo ceppo virale sono guai! Non sono disposto a giocare al piccolo chimico!”

Accanto al barattolo, il ragazzo appoggiò un altro oggetto e rimase a guardarlo: due recipienti posizionati uno sull’altro, con della polvere che scendeva lentamente dall’alto al basso: quello di sotto era quasi pieno!

“La clessidra ha quasi finito, prof, si spogli e non faccia storie!”

Ancora una volta restai a osservare la scena del vecchio che obbediva al giovane, in uno scambio di ruoli che iniziava a piacermi. Chissà se un giorno avrei potuto anch’io, ero troppo curioso di capire se sarei stato in grado di mettermi nei panni degli umani e comportarmi come loro.

“Vede prof”, spiegò l’allievo, tutto gasato. “Questa bomba si chiama Hiv boom. Quando scoppia, il virus colpisce chiunque intorno alla zona dell’esplosione ed è un HIV intelligente: non parla ma comprende le emozioni umane, quindi uccide i nemici e dà la grinta ai soldati amici. Mi segue, prof? Altro che nucleare, qualunque esercito si arrende se scopre che abbiamo HIV Boom negli armamenti!”

“Meglio del previsto”, sospirò lo scienziato più anziano. “Io stavo solo pensando che questa arma biologica potesse rendere gay tutti i soldati nemici; però lei, anzi tu, hai fatto il miracolo! Se funziona, tanto di cappello!”

No, cazzo. Se la guerra è questa no! Io sfruttato per i loro problemi coi propri simili? Ovviamente evitai di protestare, in quel momento era inopportuno e lasciai che quei rammolliti umani si vantassero delle loro imprese. Di una cosa ero certo: senza il mio consenso, nessun umano amico o nemico avrebbe avuto una mia copia nel sangue. La protesta migliore è il silenzio e l’azione, pensai; lasciamoli vivere questo momento di gloria e facciamoli scontrare con la realtà!

L’insegnante lasciò i vestiti su una sedia a debita distanza dal tavolo poi, nudo e vulnerabile, tornò a posizionarsi di fronte al contenitore col fuoco. “Ragazzo! Se mi accade qualcosa la colpa è tua…” Ma non riuscì a terminare la frase perché il contenitore esplose, spargendo vetri e liquido ovunque. Finalmente ero libero in quello spazio enorme! Libertà di nascondermi dove i due umani avrebbero fatto una gran fatica a trovarmi.

Esperimento fallito, dissero in seguito. E venni recuperato da un laboratorio diverso guidato da un altro scienziato, questa volta affiancato da una ragazza; sul genio incompreso di HIV Boom, invece, nessuno ebbe più notizie. Non io, almeno.


Hunter, 2023: la guerra fa schifo!

Non ci posso credere: così tante ne ha dovute subire il mio virus, e io che pensavo di essere l’unico ad aver avuto un passato orribile tra abusi e abbandoni. Lo lascio finire il suo racconto, e torno a studiare la poesia: “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”

“Trecento? Io ne ho visti morire di più!”

Oggi è palese che il mio HIV sia in vena di confidarsi, e a me va bene così.

“Ancora prima di quel dannato esperimento stavo coi miei colleghi virus e loro prendevano gusto a far del male. Se due umani si divertivano fra loro, i miei simili invadevano il loro corpo e gli succhiavano le difese immunitarie fino a ucciderli. A me però piaceva solo guardarli e ho usato l’AIDS una volta sola: amavo osservare dall’interno le loro abitudini, i gusti, i pensieri. Ero un, come è che dite voi sull’internet?”

Lurker! Guardone! Mi viene spontaneo un sorriso, pur sapendo quanto fosse inopportuno. Ma non posso evitare di pensare a tutte le volte in cui nei social network guardo i profili delle altre persone senza farmi mai sentire. Lui almeno, rispetto a me aveva il vantaggio di essere invisibile.

“Sai Hunter, la mia prima amicizia con un umano è stata quella fra me e la leggenda del rock. Freddie è l’unico di cui mi sia fidato appena ho avuto accesso al suo corpo.”

Resto in silenzio, per anni ho maltrattato HIV imprigionandolo con le medicine e ora lui mi dà una fiducia così grande? Non lo so, mi sembra di avere in mano i segreti militari della prima bomba atomica.

“E così Freddie è stato il primo a sapere dell’arma, ho capito bene? HIV ma ti rendi conto di quale responsabilità mi stai dando? Io non sono in grado di…”

“Hunter, senti. Non farmi perdere la pazienza! Ricordi quel che è successo a Freddie? Per cosa credi che ancora oggi in tutto il mondo lo diano per morto?”

I video dei Queen col loro leader debole e magro, i documentari e libri testimonianza della sua morte, i pianti dei suoi amici più cari. Mi mordo le labbra per non dire stupidaggini e rifletto: no, Freddie è qui a Bugliano, è venuto al Pride, era con noi al campus di via Nureyev. Una spiegazione ci dev’essere per forza.

“So cosa pensi”, cerca di consolarmi il virus. “Leggo dentro di te anche quello che non dici.”

Una sola domanda mi è uscita, quattro parole. Perché lo hai fatto!

“Ho dovuto usare l’AIDS per proteggerlo da se stesso, Freddie voleva denunciare il progetto criminale di cui gli ho parlato e io non ero d’accordo. Avrebbe fatto conoscere al mondo i segreti del laboratorio con o senza di me, capisci?”

Che senso ha il silenzio? Freddie con la sua celebrità avrebbe mandato fallito il professore, lo studente, e anche il rettore dell’università se ce ne fosse stato bisogno. Il virus era complice, allora? Mi è difficile comprendere.

“Non è così facile, Hunter. Io e Freddie eravamo gli unici a sapere tutto, fuori dal laboratorio. E se il mondo fosse venuto a conoscenza dell’arma in quegli anni, qualunque scienziato senza scrupoli avrebbe fatto tutto per averla. Così invece io sono qui, con te e i nostri amici, e HIV Boom non esiste più perché manca la materia prima. Cioè io. Chiaro, adesso?”

Da quanto mi hanno sempre raccontato, se Freddie aveva dovuto nascondersi per decenni era per sfuggire al killer dissanguatore di cui sentivo parlare in continuazione senza che però ci fosse mai stato un omicidio recente; ma a questo punto le cose si complicavano di brutto.

“Allora HIV, cazzo, mi vuoi dire che…” Inizio a spaventarmi sul serio perché due più due fa sempre quattro. Per quale ragione durante il racconto il virus non ha fatto mai i nomi delle persone coinvolte nella ricerca sull’arma? Impossibile che lui non li ricordi, con la memoria eccezionale a sua disposizione.

“Il dissanguatore e il progetto HIV Boom sono collegati, Hunter. Se no, come fa il killer a essere ancora a piede libero? Gli adoratori dello scienziato sono in tanti e dissanguano i positivi perché vogliono recuperare me, imprigionarmi e mutarmi a loro piacimento. Vogliono noi, Hunter, perché sono infiltrati in mezzo a noi. E ho già detto troppo.”

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