Niente parolacce in rai! E anche in internet!

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Niente parolacce in rai! Abbiamo ricevuto dai nostri amici un video in cui un artista Marco Arata al secolo Mark The Hammer, fa il verso a una trasmissione in rai dove hanno zittito una signora perché ha detto “che palle”.

Vista la tematica che affrontiamo, essere presi di mira dai soliti puritani è un rischio per noi alto quindi riteniamo opportuno documentare l’ipocrisia che si propaga nei media vecchi e nuovi. Come se 50 anni non fossero passati.


Niente parolacce in rai!

Il siparietto è nato da Alessandro Cattelan, che ha preso in giro Luigi Diaco dopo che quest’ultimo ha ripreso una signora “colpevole” di aver detto una presunta parolaccia; a seguire è arrivato Mark The Hammer… Lasciamo il video, e il giudizio, a chi legge perché l’artista ha dato all’ipocrisia televisiva l’unica risposta possibile. Niente parolacce in rai? Ah sì? Vuoi la guerra?


Niente parolacce in rai!

Qualcuno già abbaierà che “è la follia del politicamente corretto” (senza offesa per chi ha quattro zampe e abbaia davvero), ma qui si va oltre. Di corretto e politico non c’è un bel niente, è un’ipocrisia di una televisione già così cinquant’anni fa.


Lucio Dalla, Sanremo 1971

C’è una bella canzone di Lucio Dalla intitolata 4/3/1943 e parla di una ragazza madre; racconta la nascita di Lucio? No, il titolo originale era “Gesù Bambino” ma l’impresa di pulizie Ipocrisia SRL l’ha considerata irrispettosa e l’ha cambiata, altrimenti non sarebbe mai andata a Sanremo. Lucio Dalla si è classificato al terzo posto, quell’anno.

E pazienza il titolo. Le hanno cambiato pure il testo!

In origine faceva così:

Dice che era un bell’uomo
E veniva, veniva dal mare
Parlava un’altra lingua però sapeva amare
E quel giorno lui prese mia madre sopra un bel prato
L’ora più dolce prima d’essere ammazzato

Così lei restò sola nella stanza,
La stanza sul porto
Con l’unico vestito, ogni giorno più corto
E benché non sapesse il nome
E neppure il paese
mi riconobbe subito proprio l’ultimo mese

Dopo il lavoro della Ipocrisia SRL, la canzone è diventata così:

e benché non sapesse il nome
e neppure il paese,
M’aspettò come un dono d’amore
Fino dal primo mese

Cosa ci fosse di offensivo in “mi riconobbe subito proprio all’ultimo mese”, non importa. Ma andiamo avanti perché i benpensanti hanno voluto stravolgere il significato di una canzone dolcissima.

Compiva sedici anni
Quel giorno la mia mamma
Le strofe di taverna
Le cantò la ninna nanna
E stringendomi al petto che sapeva,
Sapeva di mare, giocava alla madonna
Con il bimbo da fasciare

“giocava alla madonna” è diventato “giocava a far la donna” stravolgendone il significato. Nella versione ripulita, fa notare che la mamma del bambino in questione fosse una ragazzina adolescente. “Giocava a far la donna” sembra quasi voler dire: “ti trovi in un ruolo che non è idoneo alla tua età”. Una scelta giudicante , paternalista. Mentre “giocava alla madonna” mostra un altro tipo di indicazione: ragazza giovane con un bambino in braccio e la devozione a prendersene cura (come la figura di Maria).

Noi non siamo credenti e anche se la canzone avesse mantenuto le parole originali, non troviamo alcuna offesa verso Maria o Gesù. Anzi. Ribadiamo che è una canzone dolcissima, un inno alla vita come ce ne sono pochi.

Giusto per non farsi mancare niente, hanno cambiato pure il testo conclusivo:

E forse fu per gioco o forse per amore
Che mi volle chiamare come Nostro Signore
Della sua breve vita il ricordo,
Il ricordo più grosso, è tutto in questo nome
Che io mi porto addosso

E ancora adesso che bestemmio
E bevo vino,
Per ladri e pu**ane
Mi chiamo Gesù Bambino

Modificata in:

“E anche adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”.

Per carità, il contrasto fra sacro e profano è evidente anche col giocare a carte e la gente del porto; ma l’originale dava sicuramente più l’idea.

De Gregori, 1973: il mendicante arabo

Forse dovremmo passare giorni alla ricerca delle canzoni modificate per avere una panoramica completa di quanto abbia lavorato Ipocrisia SRL, ma preferiamo limitarci a un paio di brani famosi tra i nostri preferiti. Dopo 4/3/1943 di Dalla ne abbiamo visto un altro. Alice, di Francesco De Gregori.

Qui si tratta di una sola parola messa in discussione, nella terza strofa.

Alice guarda i gatti e i gatti girano nel sole,

mentre il sole fa l’amore con la luna.

E il mendicante arabo ha qualcosa nel cappello,

ma è convinto che sia un porta fortuna

Non ti chiede mai
pane o carità
e un posto per dormire non ce l’ha,
ma tutto questo Alice non lo sa.

Nel tempo ascoltando questa canzone ci siamo domandati quale significato ci fosse dietro: “qualcosa nel cappello” e poi non chiede aiuto (soldi o cibo) ai passanti? Perché? Se ha il cappello pieno? Qualcosa, cioè?

La ricerca in Internet ha dato la risposta. Colpa di Ipocrisia SRL anche qui! Nel 1973 hanno pensato bene che la versione originale fosse offensiva.

Alice guarda i gatti e i gatti girano nel sole,
mentre il sole fa l’amore con la luna.
E il mendicante arabo ha un cancro nel cappello,
Ma è convinto che sia un porta fortuna.
Non ti chiede mai,
pane e carità.
E un posto per dormire non ce l’ha,
ma tutto questo Alice non lo sa!

Il significato cambia radicalmente (e drammaticamente), infatti De Gregori ha sempre cantato la versione originale ai concerti. Su YouTube si trovano diversi video.


Alice, De Gregori, Live col testo originale

E nel 2023 come siamo messi?

Dal mendicante arabo con “qualcosa nel cappello” perché Ipocrisia SRL l’ha ripulito della malattia, sono passati 50 anni.

Certo potremmo inventarci che il tale in questione sia guarito grazie al supporto (economico e chirurgico) di Ipocrisia SRL e che ora viva in Arabia Saudita circondato da cinquanta mogli e un migliaio tra figli e nipoti ma non è questo il punto.

Il punto è che dopo cinquant’anni non è cambiato molto anzi l’impresa di pulizie in oggetto è ancora più efficace, considerato che pure noi abbiamo dovuto asteriscare la parola “pu**ane” perché non vogliamo farci penalizzare.

Per adesso non è mai accaduto ma c’è sempre una prima volta e ogni articolo che scriviamo ci facciamo sempre duemila revisioni in quanto WordPress Reader non perdona e se poco poco veniamo presi come “contenuti per adulti”, è la fine di tutto.

Niente parolacce? Fosse solo questo!

A noi non piace riempire i post di turpiloquio; certo, quando parliamo tra noi ogni tanto una parolaccia scappa e così anche quando i nostri personaggi si arrabbiano. Ma cerchiamo di farne a meno il più possibile in quanto riteniamo noi per primi sgradevole un testo dove prevalga un linguaggio scurrile.

La questione però è diversa: non c’è bisogno delle volgarità per venir penalizzati, a far perdere vantaggi nella vita digitale è qualunque testo, immagine o video in cui ci siano scene considerate crude; quindi ciao ciao storie in cui prevalga il punto di vista del killer dissanguatore o qualsiasi altro cattivo che vogliamo far parlare nei racconti.

Figuriamoci poi se un creatore vuole monetizzare il suo lavoro: YouTube, per fornire pubblicità nei video caricati, chiede che i contenuti siano “sicuri per i minori” perciò ogni allusione a erotismo o violenza, anche quando è su un documentario, viene giudicata “materiale per adulti” e l’intero video o episodio di un podcast perde il diritto di guadagnare quel poco che serve a pagarsi almeno le licenze per i programmi e l’attrezzatura usata nella creazione degli episodi.

Mondo bambinocentrico

Ne abbiamo già parlato documentando la nostra esperienza con l’intelligenza artificiale ChatGPT: le grandi aziende tecnologiche vogliono rinchiuderci in un mondo “a prova di bambino” a loro dire privo di violenza, coi loro algoritmi che bloccano ciò che ritengono pericoloso.

Più che aziende è meglio chiamarli poteri fortissimi perché di fatto comandano loro: Google, Facebook, Amazon e pochi altri secondo i quali i filtri servono a rendere svantaggioso l’odio on line, ma finiscono per complicare l’esistenza ai creatori onesti mentre quelli che offendono sul serio girano indisturbati perché conoscono gli algoritmi meglio delle proprie tasche.

Perciò, se il robot ChatGPT crea storie degne di una nonna con la terza elementare che inventa fiabe al nipote di un anno, sulle piattaforme social si vede di peggio.

Facebook ha bloccato la finocchiona, salume tipico toscano, scambiandolo per un insulto verso le persone LGBT; anche a noi è successo una volta di usare una parola che Facebook ha considerato discutibile e ci ha sospeso 30 giorni per violenza:

Dai, sono quattro, sparando a caso prima o poi quella giusta la becco!

Il contesto (comprensibile dai commenti e il post precedente) parlava di un gioco a risposta multipla ma quasi sicuramente l’algoritmo del social si ferma alle parole singole.

E su YouTube è ancora più grottesco: esistono autori con anni di esperienza, i cui video vengono classificati “per adulti” e demonetizzati per un singolo aggettivo, compresa l’espressione “questa è una bomba!”, solitamente impiegata quando si vuole esaltare un prodotto dalle qualità particolarmente alte. Avanti di questo passo, dove andremo a finire?

Per adesso, se non vogliono essere tagliati fuori dal sistema, i creator devono ingegnarsi arrivando anche a escamotage imbarazzanti.

Molti Youtuber in fase di montaggio video tagliano alcune sillabe nelle parole valutate come offensive dall’algoritmo, mentre una autrice di storie sul crimine che seguiamo, usa termini infantili.

Compromesso che di certo a lei non crea problemi, ma capiamoci: sentir parlare di abusi come “cosine sporcaccine” e “relazioni bricconcelle” stona parecchio.

Anche perché, se uno vuole offendere sul serio, non usa certe parole e anzi questi meccanismi di blocco automatico fanno infervorare gli odiatori ancora di più: “non si può più dire niente”, “il politicamente corretto”, “non c’è più libertà d’espressione”, e trovano le soluzioni per offendere lo stesso. Con termini gentili ma proprio per questo peggiori di altri.

  • “Sei sieropositivo davvero? Allora perché scherzi?”
  • “Sei non vedente? Davvero? Non è possibile, scrivi così bene e così veloce!”
  • “Sai, l’obesità è un problema grave che ti danneggia la salute. Lo dico per te, se perdi peso stai meglio.”
  • “Sei gay, forse perché non hai trovato la donna giusta…”
  • “Pover’uomo / povera ragazza…”

E poi, se gli dici che offendono, hanno sempre la giustificazione pronta: “ci hai frainteso”, e se ne vanno sempre in piedi.

Allora noi ci domandiamo: possibile? Mezzo secolo fa Lucio Dalla e De Gregori hanno dovuto cambiare i loro brani al fine di farli accettare al pubblico; speravamo di aver superato questi blocchi mentali, invece anche se in tv e in rete si vedono corpi svestiti ovunque oltre ai vari “Pio e Amedeo” che si vantano di usare parole offensive per far ridere, Ipocrisia SRL non è mai andata in crisi. Anzi, ha sempre più clienti, e di quelli coi miliardi.

3 commenti su “Niente parolacce in rai! E anche in internet!”

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