Paura di perderti: da vittima a carnefice

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Rinunciamo alla fantasia per fermarci di nuovo sul Mondo Reale, ma di fronte a certe storie noi non riusciamo più a passare oltre accettando la narrazione tossica, anche se a questo giro ammettiamo che lo è meno delle altre simili occasioni.

Un piccolo avviso prima di continuare: di fronte a un dibattito inquinato e troppe persone condizionate al tifo da stadio, teniamo a precisare che non vogliamo giustificare certi comportamenti. La nostra intenzione è quella di guardare un problema da un punto di vista differente, perché non sempre un carnefice nasce come tale.


Avevo paura di perderti

“Avevo paura di perderti, quindi non ti ho detto niente”. Una frase che almeno una volta nella vita ciascuno di noi avrà certamente usato in una storia d’amore. O, se non proprio così, almeno si sarà adottata la versione più morbida: “avevo paura che ti arrabbiassi, perciò non ti ho detto niente”.

E allora, dov’è il problema se una frase del genere prima o poi esce dalla bocca di chiunque! Nell’utopia, ogni coppia comunica a 360 gradi per 365 giorni all’anno e non esistono segreti, di conseguenza nessuno litiga né si tradisce così alla fine tutto va liscio come l’olio. Il proverbiale “vissero per sempre felici e contenti”.

Nel Mondo Positivo invece, quando gli umani stanno zitti e cercano di mantenere un segreto, c’è l’HIV a fare la spia e nessuno ha modo di fermarlo: non ci sono corruzioni o pagamenti che tengano, tanto che gli investigatori privati sono fuori gioco da un bel po’ e gli avvocati di grido cercano di sfruttare il virus nelle cause di divorzio, è lui però a non permetterglielo.

E nel Mondo Reale come va? La questione è talmente complessa che nei paesi anglosassoni hanno dato tre colori alle bugie e tale simbolismo è arrivato fino a noi:

  • Bugie nere: quelle più cattive ed egoiste servono a ingannare, truffare o manipolare qualcuno al fine di trarne vantaggi personali.
  • Bugie blu: una via di mezzo. Falsità dette all’interno di un gruppo, per rafforzare il legame tra i membri dello stesso. In ambito sportivo puoi dire che l’avversario ha sbagliato; Lo danneggi senz’altro, però non ti fai scrupoli a raccontare una balla se questo garantisce vantaggi alla tua squadra.
  • Bugie bianche: le più innocue e, per questo, più diffuse. “Stai benissimo vestito così!” Ma il vero pensiero è: “dove vai così conciato? Straccione!” Oppure: “devo fare una commissione, torno tardi!” E invece vai a farti l’aperitivo.

E poi ci sono le bugie che da bianche diventano nere, a nessuno è venuto in mente di affibbiare loro un nome allora provvediamo noi: le bugie camaleonte. “Vado fuori a fare una commissione, torno tardi!” E te ne vai alle macchinette a svuotare il conto corrente giocando d’azzardo.

Quindi accade che, se il partner scopre una bugia tendente al blu o al nero, te ne esci con la frase di circostanza: “avevo paura di perderti, se te ne parlavo avresti reagito male, ti conosco…”

La peggiore bugia nera

Qual è il limite che trasforma la bugia bianca in una nera? Se la persona racconta di aver chiuso con le sigarette ma poi fuma di nascosto, al massimo è uno che fa dispetto a se stesso perché i polmoni sono i suoi. Nei confronti del partner, fa una gran figura da scemo ma teoricamente non gli causa danni irrecuperabili, in special modo se ne fuma una fuori dalla portata del “castiga matti”.

Ma se la persona ha l’HIV e non ne parla, evitando pure di assumere la terapia che blocca la replicazione del virus? Si fa certamente del male rischiando di finire in AIDS, e contemporaneamente ne cagiona altrettanto alla persona con cui ha una vita sessuale senza precauzioni.

Che i preservativi non vengano accettati di buon grado è un dato di fatto, altrimenti la scienza non starebbe cercando di proporre altri sistemi per prevenire HIV, tra cui la profilassi pre-esposizione. Di recente fra l’altro l’agenzia italiana del farmaco non ne ha autorizzato il rimborso da parte dello stato, per cui vivere una sessualità davvero senza timori, è ancora al momento una libertà che si possono permettere economicamente in pochi.

Qualcuno dirà: “Con la sanità italiana al limite del crollo, voi volete il rimborso dei farmaci per proteggervi quando sc… Scherzate per caso?”

Questa gente ha delle forti lacune in matematica: proprio perché la sanità è messa com’è messa, si dovrebbero incentivare i mezzi di prevenzione e questa non è l’utopia di due blogger amanti della fantasia: la profilassi costa mensilmente 60 euro per un farrmaco, mentre una scatola di antivirale arriva a costarne minimo 500 perciò, facendo due conti, ci si ritrova a pagare dieci volte tanto le medicine di chi è diventato positivo per non essersi potuto permettere la profilassi di tasca propria.

Non siamo contro gli antivirali gratuiti, ci mancherebbe altro! Siamo contro l’ottusità di chi dovrebbe tutelare la nostra salute ma poi non lo fa come dovrebbe e si rende complice anche dei casi limite.

Succede a Cremona

La storia: un uomo con HIV, che non prendeva regolarmente gli antivirali, ha trasmesso il virus alla propria compagna con la quale stava da anni e lei lo ha scoperto tardi, troppo tardi. Dopo un incidente in auto per il quale erano andati in ospedale e ora lui dovrà farsi un bel po’ di prigione per lesioni gravissime.

E la sua giustificazione? La solita: “avevo paura di perderti”. Adesso però non pensiamo a tutti gli insulti che verrebbe da tirargli, e cerchiamo di andare a fondo del problema a cui abbiamo accennato parlando di un altro caso, quello di Stefania Gambadoro.

La narrazione tossica vorrebbe chi trasmette l’HIV a qualcuno, sempre e solo come una specie di “vampiro” che inietta le proprie cellule particolari in corpo a più gente possibile per farla diventare come lui; una storia più da film che da realtà sinceramente, o forse possiamo chiamare così Valentino Talluto, altro caso limite; anche se lì più che “vendetta” per essere diventati HIV positivi, il problema è un disturbo psicologico molto serio ma che nulla c’entra con una parola usatissima in quei casi. “Untore”. Sul caso di Cremona, al contrario, prima di lasciarsi andare al giustizialismo da social è meglio fermarsi e porsi domande: si può far del male “per amore”?

“Ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai”, canta Ermal Meta nella canzone “vietato morire” e noi la pensiamo allo stesso modo perché dietro a quel danno cagionato per “paura di perderti”, c’è un egoismo pazzesco. E ancora: questo sentimento negativo di pensare a “me” e non “noi”” presente in un sacco di coppie, perché in questa ha portato a a una decisione così dannosa per entrambi?

Non possiamo sapere se il signore abbia interrotto la terapia antivirale per motivi medici, depressione o altro. Non ci compete. Né abbiamo la certezza che l’abbia fatto per trasmetterle il virus apposta! Sappiamo solo che le ha mancato di rispetto mettendola in pericolo e non fidandosi di lei, ha pensato solo al proprio interesse e qualcuno si è fatto parecchio male.

Dirlo è un dovere?

Un attimo: abbiamo visto sui risultati dei sondaggi contro lo stigma, che esiste un numero elevato di persone secondo cui conoscere lo stato HIV positivo o negativo di un partner sia una specie di diritto acquisito! “Se è positivo me lo deve dire!”

Calma: “deve” è come “voglio”, ed è morto; “per cortesia” invece è vivo e vegeto, ma la risposta non può essere automatica sulla domanda “sei HIV positivo?” O peggio: “sei PULITO?” (che indica la stessa cosa)… anzi, sul “sei pulito?” l’unica risposta possibile è: “certo, appena fatta la doccia”.

Conoscere lo stato HIV di qualcuno, specie durante un incontro occasionale, non è una scelta dovuta; col mondo cattivo pieno di ricattatori è difficile affidare una simile confidenza intima a uno sconosciuto! Soprattutto ora che, grazie ai nuovi farmaci in grado di bloccare la trasmissione sessuale, la persona positiva non diffonderebbe HIV neanche volendo per cui siamo alla pari: il tuo diritto di saperlo è uguale al mio di non dirtelo. E al tuo dovere di metterti (o farmi mettere) il preservativo addosso – sempre perché questa cazzo di profilassi costa un botto e non è affatto scontato che tu sia in trattamento. Perché se lo fossi, non ti porresti più alcun problema.

Diverso è in una storia d’amore degna di questo nome: lì subentra la fiducia e, in tal caso, è opportuno rivelare lo stato HIV positivo perché tale condizione fa parte di te, ed è importante metterne a conoscenza anche la persona che ti è accanto. Perché non dirglielo con la scusa “ho paura di perderti”, è un atto egoistico già se sei in terapia e non trasmissibile, figuriamoci se la carica virale è bella alta e capace di replicarsi in un’altra persona. Il silenzio vuol dire auto-stigma, mancanza di rispetto, fondare una storia d’amore su una bugia nera.

Quello che teniamo a evidenziare però è il meccanismo in grado di generare una reazione così distruttiva: se la persona ha dovuto subire il rifiuto da altre donne una volta rivelata la condizione, a un certo punto inizierà a pensare di non avere alcunché da perdere. Dai una, dai due, dai tre, se affronti la situazione tutta da solo (e già sei uno portato a fregartene della vita umana), da persona destinataria di stigma, diventi un carnefice pericoloso e ingiustificabile che va fermato.

Si fa presto a condannare il caso limite, e ovviamente lo facciamo anche noi; ma dare del “pezzo di merda” a chi ha contagiato la compagna non restituisce la negatività HIV a lei, né fa sentire migliori noi. Perciò nel nostro piccolo, consapevoli che lo stigma fa anche questi danni, cerchiamo di far riflettere i nostri lettori sulla situazione e di combattere i pregiudizi su HIV in ogni loro forma. Coi nostri mezzi che forti non sono, ma l’eventualità di aver messo almeno una pulce nell’orecchio di qualcuno, sarebbe già un gran risultato.

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