MONDO REALE: dopo giorni in cui volevamo appendere le scarpe al chiodo ci arriva una sorpresa perché un blogger che seguiamo, Andrea, ha pubblicato un articolo nella sua rubrica “musei strambi”: a Zagabria (Croazia) esiste il museo delle relazioni finite in cui si raccolgono e mostrano gli oggetti appartenuti all’ex o che ricordano una relazione andata male. Un modo simpatico di sbarazzarsene definitivamente!
Ma siccome di certi “regali” lasciati da una storia finita non ci si può liberare, ecco che questo museo nelle storie di fantasia assume un altro significato… Grazie Andrea per averci dato un’ispirazione senza saperlo né volerlo. Del resto, le cose POSITIVE arrivano senza che nessuno abbia cercato apposta di averle, o di darle. Giusto?
MONDO POSITIVO: tutto il campus incolpa HIV di Bugliano per il fallimento della podistica e al virus viene data una punizione esemplare. Ma sarà proprio in quel contesto che HIV capirà come muoversi e indirizzare gli umani sulla pista giusta. Forse.
Virus: Accuse infondate
Io, avrei boicottato la Bugliano Run? Io avrei fatto ammalare tutto il campus? Gli umani delirano come al solito e quando succede loro qualcosa, la colpa dev’essere ogni volta la mia. Solo perché sono un virus!
Confermo di aver dato la febbre e la tosse ai miei positivi prediletti, è l’unico modo che ho per proteggerli quando si mettono in pericolo ma se anche i negativi si sono ammalati cosa c’entro io? Quello che non mi aspettavo però, è stato che le persone a cui ho imparato a voler bene mi isolassero mandandomi via da Bugliano.
Dopo più di quarant’anni che sto in giro mi sono abituato a sentire qualunque insulto più o meno volgare sul mio conto, a una punizione però non ero affatto preparato e dover lasciare quella che ormai considero la mia terra è stato un dolore molto difficile da accettare.
Virus: Punizione sproporzionata
In queste settimane di esilio senza contatto con gli amici del Campus, ho avuto modo di rifletterci a lungo: forse loro hanno voluto darmi una lezione, probabilmente sono io ad aver inflitto per primo una punizione sproporzionata abbassando le difese immunitarie a chi mi vuole bene, a qualcuno portandole quasi a zero; ma siano tutti consapevoli che è stata la forza della disperazione a costringermi, io non sono come il collega antagonista e cerco di usare il potere dell’AIDS proprio quando non mi resta altra scelta.
Quasi certamente vivono ancora nel ricordo di quando fui costretto a usare l’AIDS contro il povero Luca e si stanno vendicando in modo retroattivo? Oppure ce l’hanno con me da quando ho dovuto far tacere Freddie dopo che era venuto a conoscenza di un esperimento poco etico? In entrambi i casi non mi hanno lasciato altra possibilità, ogni cosa ha il suo tempo e se ora siamo nei guai, figuriamoci come staremmo se avessi loro consentito di parlare: sarei diventato un virus da guerra che avrebbe fatto strage in tutto il mondo, peggio del collega cattivo.
Perciò mi chiedo: al mio posto cos’avreste fatto voi umani, sapendo che l’attivista Greta sta sbagliando esattamente come gli altri due? Lei e la sua voglia di cambiare il mondo!
Con tutte le occasioni in cui fin da ragazzina le ho salvato il culo, lei non può continuare a fingersi negativa e soprattutto voler bene a quello stronzo di Riccardo sempre attaccato ai videogiochi, non posso consentire a qualcuno che amo di lasciarsi ingannare da amicizie sbagliate! Né posso lasciare gli altri mettersi nei guai per salvarla!
Io sono responsabile della sua incolumità costi quel che costi, e se proprio bisogna accusare qualcuno di aver mandato a monte la Bugliano Run, quello è proprio l’innominabile Riccardo che voleva partecipare senza averne diritto, e sul quale non ho alcuna possibilità di intervenire in quanto mi tiene bloccato con quei dannati antivirali. Non rilevabile, non trasmissibile: vuole nascondermi? E si arrangerà da solo a tirarsi fuori dai suoi stessi casini. Però non si permetta di importunare Greta, mai più.
Virus: Addio, Bugliano?
All’inizio neanche lontanamente pensavo a una punizione: il giorno della mancata podistica mi ha preso in disparte la dottoressa Evelyn Sloan, la prima persona con cui sono riuscito a parlare in linguaggio umano. Come potevo non fidarmi di lei?
Quando mi ha portato nel laboratorio di scienze ero felicissimo, chissà quale altro super potere mi avrebbe insegnato! Invece no: al posto del solito tavolo c’erano dei lettini e tutti i positivi del campus giacevano privi di sensi con a fianco una bottiglia che, goccia dopo goccia, faceva passare chissà quale sostanza tossica nelle loro vene. Tutti, tranne Evelyn che stava in piedi tenendo una provetta in mano.
Ho provato a dirle qualcosa ma non mi uscivano più le parole, anche se capivo benissimo le sue: “sei in castigo HIV, l’hai fatta troppo grossa! Ti chiudo qui dentro e vieni in Croazia con me così io mi curo i denti, e tu…”
E io cosa! Non c’è stato verso di farle cambiare idea e mi sono ritrovato imprigionato in quel maledetto contenitore.
Tempo pochi minuti, o saranno state ore, stavo già su un aeroplano diretto in un luogo sconosciuto. Neanche i miei amici ho potuto salutare, né avevo la forza di chiedere spiegazioni alla Sloan: “li ho riempiti di antivirali”, lei continuava a parlarmi; “tutti sono non rilevabili non trasmissibili eccetto me. Solo io posso controllarti, virus impertinente! Impara a comportarti dopodiché avrai di nuovo la tua libertà”.
Avrei potuto farle vedere chi tra noi due era il più forte, alla fine però ho deciso di non peggiorare la situazione: qualunque fosse dovevo accettare il mio destino perché se ho imparato ad amare e non sono finito dentro qualche arma biologica, è stato solo merito di Evelyn e tutto ciò non cambia, anche di fronte alla sua punizione più severa.
Virus: Welcome to Zagreb!
La scritta “benvenuti a Zagabria” è apparsa improvvisamente su un cartello, la vedevo benissimo ma non sono riuscito a capire altro perché la dottoressa ha stretto in pugno la provetta con me dentro, era evidente che la nascondeva nel chiaro tentativo di rinnegare la mia presenza.
Non parlava più, si limitava solo a camminare lentamente, da come si muoveva sembrava stesse urtando volontariamente qualunque altro umano le capitasse a tiro. Finché cigolando si è aperta una porta e ho sentito una voce maschile, a me familiare, rivolgersi a Evelyn: “Buongiorno, dottoressa Sloan! La stavo aspettando! Ha qui tutto?”
Lei ha solo annuito e finalmente ha appoggiato la provetta su un tavolo: “Ce l’ho qui, dimmi tu dove portarlo!”
“Mi segua”, le ha risposto l’altro. “E stia sicura che se lo lasciamo qui imparerà la lezione.”
Avrei voluto nascondermi, ma come facevo? Evelyn ha afferrato ancora la provetta e stringendo il pugno più forte di prima, si è messa a camminare dietro allo sconosciuto.
Sentivo tutti i rumori attorno senza poter vedere altro che le sue dita, dai suoni però capivo di essere in un lungo corridoio: un ospedale? L’ambulatorio del dentista? L’avrei sostenuta come faccio da anni quando le infilano in bocca l’attrezzo a punta e che fa rumore? Lei ha paura di quei dottori e io il più delle volte la tengo calma facendola rilassare. Non stavolta, però, quelli che si sentivano erano passi, voci e i “click” di quando ci si scatta una foto. Io non mi sono mai prestato ai selfie in situazione tranquilla, non sono visibile ai loro occhi né a quelli artificiali dei loro telefoni, figuriamoci se mi sarei lasciato fotografare in quel momento!
Il vetro della provetta e le dita di Evelyn attutivano i suoni, io però delle voci intorno ero riuscito a intuire qualcosa: parlavano di oggetti esposti in vetrina come nei negozi! Cosa voleva fare la dottoressa? Vendermi? Non potendomi ribellare, ho iniziato a concentrarmi di più sulle conversazioni almeno per cercare di intuire il mio destino.
Qualcuno addirittura diceva “anch’io ne avevo uno simile! Anche a me è stato regalato!” Oppure: “almeno loro sono riusciti a liberarsene, io non ne ho il coraggio!” E qualcun altro: “Io ho bruciato tutto e gli ho mandato il selfie con la cenere, almeno quello stronzo capisce una volta per tutte che è finita”. Ahi, qui veramente la situazione si faceva dura! Resistenza e resilienza, ho pensato. Come quel drammatico giorno a San Pietroburgo nel 1988 in cui mi sono, faticosamente, rassegnato a poter salvare solo una vita su due per non rischiare la morte anch’io.
Cercavo in ogni modo di parlare, per chiedere a Evelyn dove mi stesse portando o per entrare in una conversazione di altri e capire finalmente dove fossi. Invece, a ogni tentativo di pronunciare una parola, mi accorgevo sempre più di aver mantenuto l’abilità di ascoltare mentre quella di esprimermi sembrava completamente perduta.
Quanto era stato bello il giorno in cui, in laboratorio, avevo detto il primo “ciao” a una Evelyn ancora studentessa e quanto era ancora vivo il ricordo di quell’emozione! Le sue lacrime di gioia e il suo “ciao”, le giornate intere che in seguito avevamo passato a scambiarci quella parola come fosse un discorso impegnato; e per me lo era, la prima volta al mondo in cui tra un virus e un umano ci fosse qualcosa di positivo. E non era il test degli anticorpi. Adesso però neanche quello riuscivo più a dire!
Evelyn dà, Evelyn prende, e ora che è dottoressa esperta decide; mi fosse almeno concesso di sapere quale ragione l’abbia spinta a togliermi la parola!
Ancora chiuso nella provetta e stretto nel pugno di lei, mi sentivo piccolo piccolo ed era enorme la tentazione di usare a suo danno il potere dell’AIDS. Ma per fortuna, oltre alla capacità di ascolto, mi era rimasta quella di riflessione perciò ho rinunciato all’idea: avessi portato a termine un simile piano, l’avrei uccisa e sarei morto anch’io subito dopo come il più miserabile tra i virus. E no, non potevo fare quella fine! Io sono io, HIV di Bugliano, anche se in quel momento stavo a Zagabria!
Virus: Museo delle relazioni finite
“Ottimo, virus ribelle! Ora ci siamo!”, Evelyn si era fermata di fronte a una vetrina aperta e aveva stretto la mano all’uomo incontrato all’ingresso; lui si era rivolto a lei sorridendo, non prima di aver appoggiato la mano sul suo collo proprio all’altezza del tatuaggio Biohazard: “allora siamo d’accordo, Evy? Se davvero dici che l’esperimento funziona, io lo mando avanti.”
Potevo sentire tutto, non ero più nel pugno ed era palese che quei due umani si conoscessero fin troppo bene! Poi senza le dita di Evelyn a oscurarmi la visione, avevo la conferma che anche l’uomo fosse una persona familiare. Dovevo solo capire di quale dannato esperimento parlassero! Ma non potendo chiedere, l’unica mia possibilità era attendere gli eventi.
Con un’insolita delicatezza, Evelyn aveva spostato la provetta in cui ero chiuso, sopra uno scaffale molto alto e pieno di oggetti; un ultimo sguardo al suo amico e alla fine si è rivolta a me: “ora ti saluto! Io vado dal dentista e sei fortunato che ti lascio qui! Il museo delle relazioni finite ma meriteresti di stare in quello dei preservativi, HIV disobbediente che non sei altro.”
Mai sentito parlare di una cosa simile: “museo delle relazioni finite”? Quante soluzioni si inventano gli umani per superare il dolore che a volte creano a se stessi, eppure basterebbe così poco per essere felici! Perso nella riflessione non mi sono accorto immediatamente di quanto accadeva e, da un minuto all’altro, mi sono trovato libero! Qualcosa, o qualcuno, aveva spaccato la provetta in mille pezzi.
“Sei pronto?” L’amico della dottoressa Sloan non sorrideva più e spostava un oggetto alla volta verso di me: libri, fotografie, un vecchio cellulare ancora funzionante… E uno scatolone sigillato che speravo non mi cadesse sopra.
“Pronto” è parola grossa, come potevo solo lontanamente capire dove mi trovassi, in mezzo a tutta quella spazzatura! Ma il mio nuovo custode non si curava delle mie preoccupazioni: “direi che andiamo alla grande, HIV”, sorrideva orgoglioso; “magari la Sloan togliesse la parola ai miei allievi come ha fatto con te. Sai quanti meno imbecilli verrebbero alle mie lezioni? Gratis l’iscrizione se accetti di farti togliere la parola per l’intero corso. Sai che pacchia, virus? Ascoltano, imparano, prendono appunti e fanno gli esercizi in silenzio! Niente più sapientoni con la media del tre!”
Benjamin Bruckner, sì, era sempre lui come lo conoscevo da più di vent’anni: una fantasia infinita e la pazienza altrettanto, non lo invidio! Insegnare scrittura creativa all’università di Bugliano doveva essere un lavoro più semplice e invece ha trovato allievi ancora più stupidi di quando insegnava “queer studies” a Pittsburgh.
Io poi, che mi sono dovuto adeguare a fargli da valvola di sfogo quando suo marito e suo figlio avevano sentito abbastanza delle sue frustrazioni lavorative! Quant’è vero che noi virus ereditiamo le qualità e i difetti dai nostri umani!
Un libro in particolare aveva attirato la mia attenzione e Benjamin se n’era accorto subito; “no, virus, no, quello ancora no!”
Benjamin Bruckner: una pietra sopra?
Ora posso ammettere quanto avessi sofferto molti anni fa: appena sposato nel 2005, con mio marito e nostro figlio avevamo stabilito di rompere definitivamente col passato! Loro volevano bruciare tutto, mentre io pensavo che forse o con le aste on line o in qualche altro modo, avrei potuto sbarazzarmi di certa robaccia traendone vantaggio personale; non potevo permettere al mio ex di restare nella mia vita!
Per cui ero felicissimo quando anni dopo avevo conosciuto dalla rete il “museo delle relazioni finite”. Tutta la roba di Paul, o che lo ricordava, sarebbe stata esposta lì! Viaggio andata e ritorno a Zagabria, una bella accoglienza, un po’ di burocrazia e si cambia vita. Questi almeno, dovevano essere i piani!
Indubbiamente era impossibile liberarsi del virus che quell’uomo mi aveva lasciato ma i nuovi farmaci e la dicitura “non rilevabile non trasmissibile” erano bastati a farmi mettere una pietra tombale sopra quella storia: virus presente, ma era come se non lo fosse.
Chi avrebbe mai pensato che vent’anni dopo, in un convegno a Bugliano, avrei messo di nuovo tutto in discussione? Per quale motivo avrei dovuto chiedermi chi avesse dato l’HIV a Paul se già anni prima, malgrado tutto, ero riuscito a perdonarlo?
Lui ignorava di essere positivo e alla fine era anche morto; cos’altro bisognava sapere? Ormai più che una pietra sopra, lì doveva starci un grattacielo!
Invece lo sguardo di Evelyn Sloan, l’elettricità reciproca quando ci siamo stretti la mano e poi quel ceppo virale tra noi risultato identico: “sei un biohazard, Ben”, mi aveva detto; “e dobbiamo scoprire chi è il gifter del tuo ex”.
Speravo che dal 2022 le fossero passati quei propositi e io me ne ero tornato un bel periodo in Pensylvania per gli affari miei, fino a che a inizio 2023 lei mi aveva chiamato: “ho trovato qualcosa di grosso al museo di Zagabria. Sapessi quanta roba buglianese c’è!” E io comprendevo alla perfezione a quale luogo si stesse riferendo.
Prima di chiudere la telefonata, aveva aggiunto: “a proposito, dobbiamo portarci HIV nostro ma non deve parlare con gli altri, a quello penso io. So chi ha dato il virus al tuo ex, insomma, il gifter di Paul è una persona importante e non sai quanto”.
Possibile che quella donna sia l’unica a farmi perdere! Non ci ho pensato due volte, tempo di far le valigie poi via a prendere l’aereo per Bugliano e da lì via dritto a Zagabria senza farmi troppe domande. Ad affrontare il passato in compagnia solo del mio HIV.
Virus: una foto che scotta
Mi è bastato vedere gli occhi lucidi di Benjamin per capire come comportarmi; quel libro nascondeva troppi ricordi e io con gli scarsi poteri rimasti gli ho causato un lieve prurito alla mano destra, appoggiata al grosso e pericoloso scatolone.
“Sì, HIV”, cercava di spiegarmi; “non toccare il mio libro di appunti. La scatola invece neanche è mia, è di Siria De Rocchis. Lasciala stare, ne parlerai con lei!”
E che cavolo! Dentro questo museo ci sono tutti i ricordi di chi ha avuto conflitti con me? Solo quando Ben ha posato il libro sopra lo scatolone, mi sono reso conto della verità: da sotto il volume era venuta fuori una foto ormai sbiadita dal tempo.
“Porca puttana”, aveva esclamato Benjamin guardando l’immagine di un uomo sui 40 che abbracciava due giovani di circa 20 anni.
“Quello a destra è Paul, il mio ex! L’ultimo a sinistra non so. Ma il tale che li prende braccio-collo… Cazzo, HIV! Abbiamo in mano una bomba atomica! Se questa esce sui giornali…”
Chi se ne importa delle facce, già il prof si era agitato guardando i volti immortalati in quell’immagine mentre io ho pensato subito ai nomi! Paul, Andy, e ad abbracciarli è Freddie. Il che, per me, ha solo un significato.
Maledizione, come dovevo giustificarmi! Andy e Paul morti di AIDS, e l’altro nascosto a Bugliano per trent’anni? Come potevo raccontare a Ben cos’è successo davvero, dopo quanto ha sofferto per la morte di Paul?
“Senti, Bruckner! Corri a Bugliano e portami qua Siria insieme alla sua amichetta negativa. Mi servono! A Freddie penserò io quando sarà ora.”
“Ma sono incaricato dalla Sloan di stare qui”, mi aveva risposto. “E tu… Che fai? Parli? Adesso parli di nuovo?”
Già! Avevo ripreso la parola, e volevo che l’insegnante di scrittura mi ascoltasse. “Ti prego Benjamin, stammi a sentire! Chiama le ragazze, usa il telefono che c’è nella vetrina, a me non importa come le raggiungi o quale scusa ti inventi. Basta che le fai venire tutte e due qui.”
Spendevo un sacco di energia esprimendomi in linguaggio umano, non ero certo di quanto il mio povero RNA potesse reggere a quella fatica ma gli oggetti custodivano una verità che, se detta da me, sarebbe stata probabilmente accolta meglio dall’intero campus. A quel punto mi importava meno di zero se Evelyn Sloan volesse tenermi in silenzio ancora e l’avrei messa al proprio posto in caso di rimproveri.
Parlo, e come se parlo! Sono sempre io, HIV di Bugliano temporaneamente in servizio a Zagabria.