Purtroppo si è verificato l’ennesimo dramma di HIV sommerso raccontato come al solito dalla sierofobia mediatica: dagli all’untore! Ma intanto una donna è morta. Riposa in pace, Stefania Gambadoro!
Chi è Stefania Gambadoro
Lei è Stefania, un’avvocatessa civilista della provincia di Messina. “Persona per bene”, “vita normale”, e già con questi due termini potremmo parlare di narrazione tossica ma andiamo avanti lo stesso. Ha avuto una storia d’amore con Luigi – “professionista affermato della Messina bene”, dicono, rapporto da cui è nato un bambino ma poco dopo i due si lasciano, come succede altre millantamila volte nel mondo.
Il terzo incomodo
Potremmo mettere qui il punto, poiché la protagonista di questa vicenda aveva una famiglia unita e che l’ha supportata permettendole di crescere al meglio il piccolo, più il successo a lavoro. Invece s’è messo in mezzo un terzo incomodo: nel 2015 la signora ha iniziato a star male , perdere peso, altri sintomi tanto gravi da costringerla a ricoverarsi in ospedale; anoressia, leucemia, di tutto hanno ipotizzato i medici salvo poi smentirsi; la diagnosi definitiva, AIDS, alla fine arriva dopo due anni. Decisamente troppo tardi per correre ai ripari e la signora Stefania a luglio 2017 muore.
Morire di sierofobia
Ecco qui il punto debole: non siamo nel 1987 ma nel 2017, quando ormai da un pezzo è stato dimostrato che grazie a cure efficaci si può bloccare la trasmissione sessuale del virus HIV e soprattutto evitare il sopraggiungere della sindrome AIDS; pertanto se una persona muore in un paese come l’Italia dove possiamo avvalerci delle cure antivirali, la causa può essere una resistenza ai farmaci, complicazioni o allergie agli stessi o altre difficoltà di natura clinica ma, senza contare i casi imprevedibili, la colpa è delle false convinzioni di chi non fa il test perché “succede sempre agli altri”, della scarsa cultura sulla prevenzione o in questo caso della sierofobia radicata anche nei sanitari che hanno perso tempo prezioso.
In poche parole è uno dei tanti episodi legati all’HIV sommerso, tema affrontato dalla nostra amica Nadia Galliano nel suo libro Seguimi con gli occhi; lì è una quattordicenne a scoprire il dramma dopo la morte del fratello, diventato sieropositivo e successivamente malato di AIDS perché la fidanzata era inconsapevole della propria condizione. Qui invece, se possibile, la situazione è ancora più triste di quella raccontata nel romanzo di Nadia poiché a Messina è accaduto qualcosa di tremendamente reale.
Come Alison Gertz
Inevitabilmente la morte di Stefania ci fa pensare a una ragazza a cui siamo entrambi molto legati sebbene fosse deceduta quando eravamo adolescenti: Alison Gertz, una delle prime attiviste americane contro l’HIV/AIDS. Eterosessuale, bianca, proveniente da una famiglia benestante, a inizio anni 80 ha contratto il virus da un rapporto occasionale con un ragazzo e quando le hanno diagnosticato la malattia nel 1989 fino alla sua morte tre anni dopo, si è battuta affinché i ragazzi come lei diventassero consapevoli delle precauzioni da prendere: “se io posso contrarre l’AIDS, chiunque può”, così diceva per indicare che la malattia non guarda classe sociale, orientamento sessuale o abitudini; proprio il suo essere fuori dalle fantomatiche “categorie a rischio” impedì ai dottori di capire immediatamente quale male affliggesse la ragazza, causando in lei sofferenza inutile.
Ma all’epoca non c’erano i farmaci di ora ed è questo a rendere la morte di Stefania ancora più tragica: ormai si può sapere tutto di HIV e AIDS, con cosa possono giustificarsi i medici per non aver preso in considerazione tale ipotesi da subito? Lei è morta di stigma, è questa la realtà, e abbiamo la sensazione che il sacrificio di Alison sia servito a poco.
Battuto il pregiudizio sull’AIDS
Per fortuna accanto a lei c’è stata una persona che non si è data pace e giustamente ha voluto andare fino in fondo: sua sorella Silvia, che come Alison Gertz ha lottato contro i pregiudizi dei medici ma è soprattutto riuscita a capire da dove fosse arrivata la malattia. A trasmetterla è stato proprio quel Luigi “professionista affermato” il quale dal 1990 al 2019 è andato a letto con mezzo mondo senza rivelare la propria condizione, provocando la morte per AIDS di Stefania, della prima moglie nel 1991 e la sieropositività di altre donne; lui è stato condannato a 22 anni in primo grado com’è giusto che sia, ma i medici pieni di pregiudizi? Risponderanno delle proprie azioni? Noi speriamo di sì e che la signora Silvia abbia la forza di battersi contro di loro fino all’ultimo respiro.
Credere che “una persona per bene” non possa contrarre l’HIV, negli anni 2000, significa venir meno alla professione medica! Da quando la medicina funziona coi luoghi comuni riguardanti la sessualità altrui?
Quando gli stereotipi uccidono
Se in questo caso il pregiudizio ha permesso a una malattia di aggravarsi perché non curata in tempo, anni fa in Russia è accaduto di peggio: lei si chiamava Irina Gaidamachuk e ha ucciso 17 persone a martellate.
Anche in quel caso, come racconta il podcast Demoni Urbani, le forze dell’ordine si sono mosse a rilento perché in base alla violenza commessa ritenevano che l’omicida seriale fosse un uomo o un gruppo di uomini; così la signora Irina l’ha fatta franca per un po’ di anni, ammazzando indisturbata alcune donne anziane innocenti che senza luoghi comuni maschilisti avrebbero potuto salvarsi.
Dagli all’untore!
Solita storia: quando i media parlano di una persona che ha trasmesso HIV ai partner, il tono è sempre “dagli all’untore”! Si limitano a sbattere in prima pagina il “mostro” senza mai andare a fondo del problema perché basta piangere i morti e offrire una pacca sulle spalle per confortare le vittime sopravvissute (ma che restino anonime, per carità!) Eccetto Stefania Gambadoro e poche altre infatti le persone diventate HIV positive a causa di predatori sessuali, rimangono sempre nell’anonimato.
Poi quando esce la rassicurante notizia col criminale in galera si chiude il capitolo fino alla prossima vicenda per la quale il copione si ripete: rabbia, insulti alla persona ma più in generale ai sieropositivi, sentenza, carcere, sipario. E l’HIV rimane sempre un problema “degli altri”.
Ma siamo proprio sicuri che i protagonisti di certa cronaca diffondano l’HIV per il gusto di farlo, su quale base pensiamo che senza virus questi risultino delle persone per bene rispettose dei partner occasionali o meno? “Mi sono infettato io e adesso a te deve toccare la stessa sorte”, sicuramente ci sarà stato qualcuno così ma abbiamo seri dubbi che tutti siano spinti da tale vera o presunta pulsione.
Vittime e carnefici
Tutti vorremmo che certi drammi non si ripetano più, giusto?
Allora perché non si ha mai il coraggio di scavare fino alla radice del problema? Troppo facile e comodo criminalizzare l’HIV!
Noi per primi siamo convinti che tacere la sieropositività al partner sia una mancanza di rispetto: anche se l’incontro è occasionale, chi hai davanti è una persona col suo diritto di scegliere se stare con te o meno, non un giocattolo di cui puoi porre e disporre a piacimento.
Negli anni 2000 esistono infinite marche di profilattici e, avendone la possibilità, anche la profilassi pre-esposizione per chi è sieronegativo; la stragrande maggioranza delle persone sieropositive fra l’altro è in terapia efficace e non può trasmettere sessualmente l’infezione, questa è un’evidenza scientifica che permette di non far sentire più le persone con HIV obbligate a parlarne, sarebbe opportuno considerare che in un mondo pieno di sierofobia come questo un contatto occasionale potrebbe anche rivelarsi un ricattatore: “paga o divulgo il tuo status”, “vieni a letto con me o parlo”, ecc.
Occorre cambiare la narrazione mediatica sul virus perché lo stigma costringe a tenere l’HIV sotto silenzio e, se già è difficile parlarne per una persona rispettosa di sé e degli altri, cosa succede se sei uno che se n’è sempre fregato della vita umana?
Inutile che ci prendiamo in giro: il mondo è pieno di persone egoiste indifferenti a quanto accade loro intorno, non è necessario essere disturbati come Valentino Talluto; per non aver scrupoli e passare HIV ai partner inconsapevoli è sufficiente un profilo molto più semplice:
- “Penso che sia una malattia riguardante solo certe persone, non mi faccio mai il test, vado solo con gente di cui mi fido” (questi sono la maggioranza e trasmettono SENZA saperlo);
- “ho preso il virus, me ne vergogno perché credevo non potesse succedermi, io sono una persona per bene e non voglio prendere pastiglie per tutta la vita. Nego la realtà sperando che mi vada tutto liscio, se parlo del virus mi giudicano o peggio mi ricattano quindi penso a godere io e sto zitto”;
- “ho letto su Internet che HIV non esiste, non è lui la causa dell’AIDS, sono i farmaci antivirali che uccidono. Ho tranquillamente rapporti sessuali sprotetti perché il preservativo in realtà non preserva” (sono i danni del sovraccarico di informazione presente su Internet, e l’ignoranza diffusa) – questa descrizione si adatta a un recente caso di cronaca in provincia di Ancona, Claudio Pinti;
- “Mi piacevi troppo, se te lo dicevo mi avresti rifiutato avevo paura di perderti” (egoismo allo stato puro, mascherato da amore).
Tutte condizioni che trasformano la vittima dello stigma in un carnefice. Lungi da noi difendere chi si comporta in questo modo, la giustizia li deve punire poiché nuocere ad altri non è la soluzione per affrontare la sierofobia. Resta però il fatto che fino a quando lo stigma sarà diffuso, la probabilità di queste storie al limite sarà sempre presente e prima ce ne rendiamo conto, meglio è perché tali soggetti già prima dell’HIV se ne infischiavano della vita umana e il virus è soltanto l’ennesimo sistema per dimostrarlo.
Siamo comunque consapevoli che per quanto sia rassicurante vedere “il mostro” in prigione, nessuno darà più indietro la sieronegatività alle persone coinvolte loro malgrado né, tanto meno, fa tornare in vita chi è morto.
Esistono personaggi simili anche nei confronti del covid, vanno in giro senza protezioni né vaccinazioni sbraitando di “libertà” salvo poi urlare “all’untore” quando si parla di chi non si protegge nei rapporti sessuali tacendo il proprio stato sierologico HIV. Sono tutti della stessa pasta!
“Mostri”, HIV e terapia
Un altro punto in comune hanno i casi HIV mediatici: nessuno mai parla delle terapie o sull’argomento si rimane sempre sul vago; conta solo che il protagonista della storia sia positivo e abbia diffuso l’infezione quando, invece, il dettaglio della terapia è fondamentale. Lo ribadiremo fino allo sfinimento, una persona sieropositiva che assume regolarmente gli antivirali, anche avendo rapporti senza protezione NON può trasmettere l’HIV!
Parlando dell’uomo messinese, il giornale L’eco del sud sostiene che egli “era positivo dal 1990 e si curava da anni”; su altre fonti è scritto che “dal 1990 al 2019 ha trasmesso il virus a cinque donne” e per noi il racconto sta in piedi fino a un certo punto: se il finale è stato così tragico qualcosa di sicuro è andato storto!
Dato l’epilogo per la sua prima moglie e per Stefania, escludiamo che fosse totalmente senza farmaci perché in tal caso sarebbe finito in AIDS e morto anche lui. Idem se la terapia fosse stata inefficace e non l’avesse mai cambiata. Crediamo piuttosto che il signor Luigi fosse poco costante con le somministrazioni per cui la sua carica virale fosse lontana dalla soglia di non rilevabile, mantenendo per questo la capacità di trasmettere.
Nessuno capisce i danni che un’informazione così superficiale produce e, soprattutto, nessuno ne risponde: distribuire le notizie in questo modo favorisce la confusione, da cui deriva la disinformazione e alla fine lo stigma; poco importa a loro se di mezzo c’è anche il figlio di Stefania ormai adolescente e affidato alla sorella di lei, una narrazione mediatica indecente espone anche lui a bullismo e insulti: “figlio dell’untore”, “figlio di appestati”, o peggio esser trattato da perenne vittima. Data la situazione della madre inconsapevolmente positiva ha già avuto la fortuna di nascere sieronegativo, non gli si scarichi sulle spalle anche l’offesa indotta dalla disinformazione! I media hanno pensato a tutto ciò?
Abbiamo i nostri seri dubbi in merito, a loro interessa pubblicare le storie più morbose possibili tanto chi vuoi che parli, i sieropositivi stanno tutti in silenzio, perciò nessuno pagherà i danni dopo aver instillato pregiudizi ancora più forti nell’opinione pubblica; guai parlare di educazione sessuale, per loro meglio continuare a trattare l’HIV come una “punizione” o la disgrazia accaduta per mano di un “untore”. …E la reazione a catena va avanti.
Fino al prossimo morto da piangere o vittima da compatire quando si mostra senza volto e con voce distorta, nell’ennesima trasmissione tv.
Stefania Gambadoro morta di sierofobia, aggiornamento dicembre 2022
Il processo d’appello per la condanna del signor Luigi doveva esserci il 25 ottobre 2022 ma è uscito un cosiddetto “vizio di forma”: due dei giurati hanno compiuto 65 anni, età limite per tale carica. Quindi, giusto per non farsi mancare nulla in termine di assurdità, il processo dovrà partire daccapo. Dal primo grado di giudizio. Oltre alla sierofobia dei medici, a far del male a Stefania Gambadoro pensa anche la burocrazia.
Fonte: Stefania Gambadoro, annullata condanna – Noi non abbiamo davvero più parole.
Stefania Gambadoro, aggiornamento marzo 2023:
Il processo al signor Luigi è ricominciato daccapo; non ne sappiamo molto e se al momento non inseriamo link alle notizie in proposito è perché tutti i media che ne parlano continuano ad alimentare la sierofobia mediatica e noi non vogliamo favorirla regalando loro visite in più. Seguiamo la vicenda e vedremo come andrà avanti, ma per i medici che hanno ritardato la diagnosi al momento non c’è stata alcuna condanna.
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