U=U: scienza, non paranoie

Tempo di lettura: 7 minuti

Avere un blog contro lo stigma su HIV e non raccontare l’esperienza personale dell’autore con HIV? Sarebbe un’occasione sprecata e allora ecco qui.

U=U, che diavolo è questa sigla? Perché è importante? Perché di fronte alla scienza le paranoie sono inutili?

Alessandro condivide la propria esperienza a ruota libera – tanto poi ci pensa sempre il polo negativo a fare il correttore di bozze!

DISCLAIMER: post ad alto contenuto di psicoblog e anche qualcosa di più esplicito.

Lettori avvisati, mezzi salvati.


Rischi e paranoie

Descrivi un rischio che hai corso di cui non ti penti.

Sicuri? Volete proprio saperlo davvero? OK. Perfetto. Il rischio di cui non mi pento, è stato quando ho smesso di usare il preservativo col mio attuale marito. Detta così, senza filtri.

Patti chiari amicizia lunga: se qualcuno volesse darmi dell’untore o accusarmi di aver messo a rischio la persona che amo, se la metta via. Anzi si legga questo articolo più volte inclusi i link esterni.

Non nego di aver passato mesi con le paranoie prima della decisione: chi me lo faceva fare, potevo continuare come ero abituato? Impossibile!

All’epoca, 2017-18, nei siti internazionali vedevo girare questa sigla strana: “U=U”, “undetectable = untransmittable”, roba che ti si attorciglia la lingua solo a pronunciarla in inglese. “Non rilevabile non trasmissibile”, uno slogan complesso per chi ignora la questione HIV ma io avevo già capito il riferimento alla quantità di virus presente nel mio “cattivo sangue” per citare Elena Di Cioccio.

Dai, su, figuriamoci, quale cattivo, io dico orgogliosamente che mi chiamo Alessandro e il mio è sangue BONO! Non buono. Bono. E chi legge da tempo questo blog non faticherà a capire il gioco di parole tra Alessandro e Bono.

Una notizia bomba questa di U=U, voleva dire sconfiggere l’epidemia di HIV in pochi anni se fosse stata vera! Allora perché discutevano solo gli addetti ai lavori ma i giornali generalisti o la tv non ne parlavano? Ci si metteva pure il mio dottore: “sì, è così, è dimostrato da molti studi, io però fossi in voi non azzarderei.”

Per me e il mio amato Negativo erano più i dubbi che gli entusiasmi in merito a quanto dicevano medici e associazioni all’estero sulla mancata trasmissione sessuale grazie all’efficacia degli antivirali e, quando sai di una nuova strategia di protezione ma hai paura dell’ignoto, puoi anche proseguire con la vita di sempre però la consapevolezza acquisita ti ha già strappato dalla zona di comfort facendoti sentire addosso, nel vero senso della parola, una scomodità che prima nemmeno percepivi.

Realizzando come questa faccenda rischiasse di mandarci in crisi, ci siamo concessi la classica “pausa di riflessione” che se per gli altri significa mollarsi senza dirselo, per noi invece era riflessione vera su una situazione che non potevamo né volevamo più ignorare.

Fossi stato più stronzo gli avrei fatto stealthing: levarsi il preservativo di nascosto è un attimo, quello però è un abuso sessuale la cui rilevanza penale è ancora in discussione. Legge o no, io comunque non sono quel tipo di persona e pur non essendoci alcun rischio reale per lui, comportandomi così avrei tradito nel modo peggiore la fiducia di chi amo. E per dimostrare cosa, poi?

HIV senza preservativo: la scienza prima di U=U

Il virus non era ancora con me quando tra il 2007 e 2008 si parlava di studi prima in Svizzera poi in Canada, in cui si confermava l’impossibilità di trasmissione al partner negativo di una coppia sierodiscordante. Lì il campione però si concentrava maggiormente sulle coppie etero in cerca di una gravidanza quindi, più di tanto, non ho approfondito. C’erano gli antivirali però rispetto al 2023, 2007-2008 è un’era geologica fa.

Addirittura nello stesso periodo era uscito un articolo di giornale, che ora non trovo più, in cui parlavano di un gene isolato in persone esposte ad alto rischio HIV e rimaste negative; “test disponibile entro due anni” dicevano i giapponesi. E io scemo a pensare “dai speriamo che presto venga fuori in tutto il mondo così lo posso fare anch’io e se sono coperto non devo preoccuparmi più dell’AIDS” – capivo a malapena la differenza tra HIV e AIDS.

Arrivato il 2009, poi il 10 e 11, quella storia è andata nel dimenticatoio; nel 2012 però negli Stati Uniti ha iniziato a uscire la profilassi pre-esposizione PrEP e io, ancora negativo, mi sono tranquillizzato: OK qualche mese di pazienza e arriverà in Italia!

Come, prego? Mesi? “Caldi e ben cotti”, per citare una frase della mia collega Elettrona; questa terapia per negativi che vogliono evitare di infettarsi è arrivata in Europa nel 2016 ma io grazie ad Alberto il coglione con cui ero stato fra il 2009 e il 13, nel 16 ero già diventato positivo da tre anni.

Dicono che i coglioni vanno sempre in coppia ed è vero: Evaristo coglione sinistro è stato Alberto, Ernesto coglione destro la burocrazia istituzionale europea che ha temporeggiato, io mi sono trovato a essere Pasquale mazza centrale a cui è toccato subire le scelte degli altri due malgrado, fosse stato per me, sarei entrato in Prep non appena fosse uscita sul mercato anche a costo di essere il primo a sperimentarla. Quanto cazzo paura mi hanno fatto dell’AIDS in adolescenza, andassero all’inferno tutti loro e la loro sierofobia.

Ora finalmente hanno approvato la Prep rimborsabile anche in Italia con 10 anni di ritardo e diverse migliaia di positivi in più, ci vorranno i tempi tecnici – e ulteriori virus in giro – ma è un’altra storia e questo non è il post adatto per discuterne; lo farò, comunque, appena sulle tempistiche per la rimborsabilità si saprà qualcosa in più.

U=U: la fine delle paranoie

Fra il 2007 e 2016 tre studi hanno coinvolto diverse coppie sierodiscordanti gay ed etero in cui il partner HIV positivo era in terapia coi farmaci antivirali e in nessun caso si è verificata la trasmissione da contatto sessuale senza protezioni a barriera. Fonte: Undetectable=Untransmittable – Unaids – in inglese. Da qui gradualmente si è iniziato a parlarne sui forum del settore, prima a mezza bocca poi sempre più forte.

U=U, carica virale non rilevabile, mi pareva di sentire parlare una lingua sconosciuta perché ancora nel 2017-18 in Italia non era diffusa questa evidenza. La comunità scientifica italiana lo ha ufficializzato solo il 12 novembre 2019.

Io però mi ero stancato di stare dietro ai profilattici perché da anni i risultati delle analisi parlavano chiarissimo: prima “meno di cinquanta copie”, poi “non rilevabile”, il mio virus nel sangue era sempre in pieno relax e probabilmente, ai tecnici di laboratorio, diceva pure: “fatemi il favore di dire al mio umano che non ho intenzione di toccare suo marito! Ancora non lo capisce!”

Da positivo non ero capace di sentire cosa stesse dicendo HIV mio, figuriamoci i negativi dell’ospedale! Quindi sono andato avanti ancora per un bel po’ a tenermi l’opzione “preservativi” nella nota della spesa anche se, pur non facendolo pesare, ero sempre più insofferente: vivere assieme pianificando di sposarci, avere l’evidenza scientifica U=U in casa ma comportarci come fossimo in una coppia sierodiscordante agli inizi in cui il virus ancora fa paura.

Viva la libertà

Se levarsi i preservativi di nascosto è un abuso, non lo è dimenticarsi “casualmente” di comprarli e poi sul più bello mettere la mano sotto il cuscino e dire: “oops, sì, maledizione credevo ce ne fosse ancora uno, in effetti avevo l’impressione di aver acquistato una cosa in meno! Ora che si fa?”

Stavo tranquillo perché prima mi ero consultato col dottore: “vorremmo sposarci e vivere un’intimità più serena ma per sicurezza mi piacerebbe che mio marito entrasse in prep; che ne pensi, doc?”

A farla breve, l’Aidiessologo ha risposto che avendo io la carica virale non rilevabile ed essendo la nostra relazione monogama, per il mio lui è inutile la profilassi pre-esposizione.

Con tanto di mia frecciata un po’ ironica un po’ no: “perfetto allora se mi fai le corna e allarghi la famiglia con un virus in più, non dare la colpa a me”.

Che si fa, bianco o U=U? “La seconda che hai detto”. E io stronzo come pochi: no, non ho capito, la seconda cioè? Voglio sapere cosa hai deciso. Niente scorciatoie o parole non dette. Consenso o dissenso esplicito.

Solo quando mi ha guardato e mi ha detto “U=U” la serata è andata avanti. I giorni a seguire non sono stati facili perché – lo ammetto – un po’ mi ha condizionato con le paranoie “e se ti si fosse alzato il virus nel sangue e tu non lo sai”, “e se la medicina ha deciso di non funzionare, della scienza non so se e quanto fidarmi, c’è sempre la sfortuna”…

Come potevo dirgli “se non ti fidi del medico fidati di me” se era una situazione di cui avevo scarso controllo anch’io? A sentir lui avrebbero dovuto inventare un apparecchio agganciabile a un dito (quale dei 21?) che monitorasse la carica virale minuto per minuto.

OK, adesso ci ridiamo su entrambi però allora mi sarebbe venuto da strozzarlo e rimanere vedovo in anticipo perché iniziava a far tornare le pare anche a me, così mi sono armato di pazienza lasciandolo aspettare i tempi tecnici e farsi il test HIV pur consapevole razionalmente io per primo di quale sarebbe stato l’esito.

Finalmente col suo risultato negativo in mano l’ho portato a festeggiare in un bel posto dove ci siamo mangiati antipasto, primo, secondo e dolce tutti e due. Cioè tre col virus.

Eravamo liberi e lo saremmo stati per sempre, col preservativo da usare solo se l’avessimo volontariamente scelto. Io più di tutti mi sentivo libero come non mi ero mai sentito prima.

Dopodiché per non farci mancare niente, in una coincidenza che non scorderemo mai, mentre guidavo la macchina verso casa la radio ha pensato bene di TRASMETTERE (battuta volutissima!) questo pezzo: “viva la libertà” di Jovanotti. Canzone su cui gli ho fatto la proposta definitiva di sposarmi.

Sono passati quasi cinque anni dalla scatola di preservativi mai acquistata e ci siamo sposati; lui è ancora negativo, ancora mi sopporta, non mi sono mai pentito di aver guardato quel giorno l’insegna della farmacia ed essere passato avanti. Poi lasciamo stare che in pandemia ci siamo imparanoiati più di prima e abbiamo fatto scorte ma la consapevolezza acquisita ci ha permesso anche di ironizzare sulla prevenzione dei due virus insieme: dove va la mascherina? Dove va il preservativo? Che faccia hai, che faccia ho.


Viva la libertà – Jovanotti

Cosa non si fa per amore! Fin da ragazzo mi sono promesso di non cantare o eseguire mai al pianoforte brani di Jovanotti invece dal giorno in cui mio marito è risultato HIV negativo quella è fra le canzoni che suono di più (insomma non è che ci voglia Bach, per impararla!)

Dall’incontro col mio HIV ho giurato a me stesso che avrei sempre usato il preservativo anche in una storia a lungo termine. E invece… Sì, dai, ma nel 2013 la situazione era diversa e U=U non era stato ancora scoperto.

Va bene, avrei voluto finire il post con la canzone ma non me la sento perché il rischio è ancora alto: vero che noi positivi U=U siamo le persone più sicure, infatti siamo periodicamente controllati per tutte le infezioni sessualmente trasmissibili. Questo vale anche per i negativi sotto profilassi pre-esposizione PrEP in quanto la terapia in oggetto prevede che si sia controllati costantemente contro le infezioni veneree, dalla Chlamydia alla sifilide a salire.

La realtà però è complessa, e il virus in circolazione non è un amico come HIV di Bugliano. Specie qui in Italia c’è una scarsa informazione su U=U e PrEP, anni di stigma sdoganato dai media stanno ancora causando problemi tanto che i controlli per le infezioni a trasmissione sessuale sono ancora a completo carico dei pazienti perché la sessualità è ancora vista come un capriccio e non come un diritto. Etero, gay o altro che si sia.

Allora il preservativo rimane sempre un ausilio necessario per tutelarsi (e tutelare gli altri) in caso si ignori il proprio stato di salute. Ho scelto di condividere la mia esperienza solo per far capire che, oggi, la prevenzione dell’HIV non passa più solo dalle barriere fisiche. Né tanto meno dallo stigma! Benvenuti nel 2023!

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